
Cosa saranno mai queste “scatole” dipinte?
Sono delle scatole in legno, che contengono una pittura, una miniatura, che rappresenta un animale, una bestia. Questa bestia è la copia di una di quelle che illustrano i “bestiari”, appunto, medievali. Queste scatole hanno un coperchio, che si apre a scorrimento. E sul coperchio sono scritte: il nome della bestia; le notizie di dove viene; quanto è cattiva o no; altre informazioni. Intorno al coperchio c’è una cornice, che riprende le cornici medievali.
Quando la scatola viene aperta, si vede allora in tutta la sua magnificenza, in tutto il suo splendore, la bestia, con tutto il suo oro, i suoi colori incredibili. Questa scatola può essere appesa ad una parete, come un quadro. Può essere appoggiata, come un ritratto, su di un ripiano: una scrivania, un tavolino, una consolle, o altra superficie orizzontale.
Il Bestiario
I “Bestiari” sono dei manoscritti su pergamena, illustrati da miniature, diffusissimi nel Medioevo, soprattutto nei secoli XII e XIII, in tutta Europa, nei quali vengono catalogati e descritti animali, reali e fantastici.
L'origine remota di questi testi è da ricercarsi in antichi testi, come l'opera “Physiologus” (il fisiologo, cioè lo studioso della natura): bestiario scritto in greco, ad Alessandria d'Egitto da autore ignoto fra il II e il IV secolo. Questo offriva l'interpretazione degli animali e delle loro caratteristiche in chiave simbolica e religiosa. Il testo fu tradotto anche in latino e nel corso della storia si è arricchito di dettagli e soprattutto di immagini, sviluppandosi così nei “bestiari” veri e propri.
Dall’aspetto fisico dell’animale, dal comportamento, dalle abitudini, dal tipo di relazioni con gli altri animali e con l’uomo e, non ultimo, dal suo nome stesso si deducono insegnamenti etici e religiosi.
L’attribuire agli animali un carattere morale consentiva di classificare il mondo naturale, facilitando la memorizzazione dei contenuti con le immagini. Lo stesso processo è stato seguito sette secoli dopo da Walt Disney, con i suoi cartoni animati, per rappresentare vizi e virtù degli uomini.
Per gli antichi non era importante rappresentare in modo naturalistico l’animale. Interessava invece la verità spirituale, che era diversa da quella reale. Gli animali sono presenti nelle Sacre Scritture e largamente rappresentati in ogni dove: manoscritti, affreschi, cornici, ecc. sempre con significato simbolico.
L’animale è quindi “simbolo” e allegoria morale. La parola greca “symbolon” significa segno di riconoscimento, costruito in concreto dalle due metà di un oggetto che due persone conservavano ed esibivano per riconoscersi. Per il pensiero medioevale, ogni oggetto, ogni elemento e ogni essere vivente è la rappresentazione di un'altra cosa che gli corrisponde su un piano superiore di cui è il “simbolo” appunto...
In tutti i bestiari medievali vengono trattati animali: feroci e domestici, reali e favolosi, come i satiri e le sirene. Gli insegnamenti morali, simili a volte a quelli delle favole di Esopo e Fedro, sono però rivolti al raggiungimento della salvezza dell'anima.
Le miniature qui esposte, sono perlopiù copie tratte da: il Bestiario di Aberdeen (MS 24), preparato in Inghilterra nel XIII secolo, conservato nella Biblioteca dell'Università di Aberdeen, dove è inventariato come manoscritto MS24; e il Bestiario Latino, sempre del XIII secolo, conservato nella Biblioteca Bodleiana (Bodleian Library) dell'Università di Oxford, inventariato come manoscritto MS Ashmole 1511.
I BESTIARI FANTASTICI
Dacché è parso utile all’uomo di catalogare le cose che lo circondano, è stato presto evidente a tutti che senza immagini capaci di descrivere le cose, gli scritti da soli non servono granché. Nella salda e ferrea volontà degli Umanisti di numerare e riconoscere le creazioni umane o quelle di Dio, il disegno descrittivo se non tecnico è forse la maniera la più immediata a far capire al fruitore di quale cosa si stia parlando. Catalogare è un atto infinito e potenzialmente degno di lode, se non ché è evidente il fatto che stiamo parlando di un’azione da inscrivere nelle attività tra le più arbitrarie e inutili mai compiute dall’uomo. I bestiari rappresentano uno di questi sforzi nel tentativo, vanissimo, di catalogare gli animali che popolano la Terra. Uno studioso serio, desideroso di comprendere e quindi di controllare il regno animale, cataloga le bestie nell’applicazione di porre ordine e disciplina in esseri che di disciplina non ne dimostrano poi molta. Il nostro studioso tenta di soddisfare un desiderio infantile, a ben vedere, ché anche lui (come noi tutti) è stato al giardino zoologico da bambino, quel terribile giardino in cui ha potuto riconoscere (preparandosi psicologicamente ad affrontare) la tigre, già vista sulle illustrazioni di Sandokan o nei film “indiani” o tra i suoi pupazzi di peluche, o il leone, l’orso, l’alligatore e tutte quelle bestie feroci e immalinconite e rassegnate nelle gabbie. Uno zoo, come un bestiario, è quindi un divertimento infantile nonché allarmante. Come spiegare questo fatto comune e misterioso insieme? Possiamo sostenere, come diceva Borges, nel “Manuale di zoologia fantastica", che i bambini bruscamente portati allo zoo soffriranno, vent’anni dopo, di nevrosi; e in verità, come non c’è bambino che non abbia scoperto lo zoo non c’è adulto che non sia, esaminato bene, nevrotico.
I bestiari, come gli zoo, vogliono rendere visibili gli animali catalogandoli e offrendoli allo sguardo dei curiosi come noi sotto forma di immagini - cosa encomiabile ché non suppone nessuna gabbia se non quella della rilegatura di un libro. I bestiari sono antichissimi, addirittura ve ne sono alcuni che risalgono al XI secolo. Gli studiosi Medievali erano certo i più nevrotici in questo ambito ché si volevano probi e timorati di Dio, ma la loro innata curiosità li portava a scoprire cose che non avevano certo una diretta attinenza con il concetto che di Dio s’erano fatti. Come poter infatti spiegare che il Creatore aveva messo al mondo animali così prodigiosamente schifosi come il bonnacon? E tuttavia queste bestie dovevano pur esistere, da qualche parte. E in uno sforzo eccezionale ecco che ci si mise anche a catalogare assieme alle bestie viventi nelle nostre stalle anche gli animali che, oggi, inappropriatamente, chiamiamo immaginari o fantastici.
I Medievali sapevano, come prima di loro anche i Greci, che “la realtà
vera (vera per noi) non aveva particolari privilegi rispetto alla realtà inventata (inventata per noi), e il fatto che una cosa fosse accaduta non le dava alcun vantaggio rispetto a una cosa che non era accaduta ma che sarebbe dovuta accadere secondo ogni logica di buon senso o di opportunità. In sostanza è più vero quello che è più utile o più adatto per quel determinato scopo o semplicemente più bello, più elegante, più divertente, più tragico, più comico, più giusto” (Dino Baldi, Morti favolose degli antichi). Per aggiungere credibilità a queste creature le si mischiavano, nello stesso libro, con animali più comuni come la volpe o l’asino. Le miniature dei bestiari medievali si volevano quindi precise il più possibile senza rinunciare allo stile allora di moda tra i frati disegnatori dei monasteri - unici detentori della verità come la si intendeva allora: non si tratta quindi di un realismo accademico o ottocentesco, ma di un realismo simbolico nel quale l’animale è ritratto in forma per così dire aneddotica. Non senza ironia gli illustratori di questi bestiari si rivelarono ottimi precursori dell’arte combinatoria: con la pancia di un cavallo e la testa di un’aquila ecco nato l’ippogrifo. In questo secondo giardino zoologico dovremmo incontrare quindi molte più bestie che non nel primo, fermo restando che le combinazioni sono infinite. E tuttavia scorrendo queste immagini ci renderemo conto che la zoologia dei sogni abbaziali è più povera di quella di Dio (o chi per lui). Ma non meno utile: le bestie mostruose (ri)disegnate e reinterpretate da Beppe spaventano chi volesse viaggiare al di fuori dei confini noti: ché spesso vivono “da qualche parte in Asia”, per esempio. Mostri necessari, quindi, ad una fruttuosa sedentarietà del volgo, ma non solo per questa ragione. Ché ignoriamo il senso della chimera o della leucrota o del drago d’oriente, ma essi s’accordano all’immaginazione umana e, attraverso i loro occhi di pergamena e di tempera, scorgiamo epoche e latitudini diverse. Epoche antiche e latitudini non molto lontane in cui l’immaginazione aveva il diritto di esistere quanto ne ha la tigre del giardino zoologico, epoche in cui sognare non ci era ancora stato vietato.
Massimiliano Mocchia di Coggiola
